martedì 27 maggio 2008

AIDS 4: dove va il virus del secolo

Una Giornata Mondiale: perché?

Il primo dicembre si è celebrata la Giornata Mondiale contro l'AIDS, promossa dall'UNAIDS, un'organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa della lotta contro questa malattia e cura la redazione di periodici rapporti sull'andamento dei casi nel mondo. L'iniziativa, che si ripete ogni anno, intende richiamare tutti, in particolare autorità sanitarie, politiche e scientifiche, ad un rinnovato e consapevole impegno nel prevenire la diffusione di questa pandemia e nell'assistere i malati, specialmente nei paesi poveri, per arginare ed invertire la tendenza alla crescita dell'estendersi del contagio da HIV-AIDS.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) indisse per la prima volta la Giornata Mondiale dell’AIDS nel 1988; da allora il primo dicembre è diventato un appuntamento importante a cui aderiscono milioni di persone in tutto il mondo con iniziative di diverso genere. "Stop AIDS. Mantenere la promessa" è il tema della celebrazione di quest'anno.

Un po' di storia

Il virus dell’HIV ha fatto la sua comparsa ufficiale nel 1981, quando i Centers for Disease Control and Prevention di Atlanta (i centri che negli Stati Uniti sono deputati al controllo e alla prevenzione delle malattie infettive) segnalarono i primi due casi di una “strana” patologia. “Tra il mese di ottobre del 1980 e maggio del 1981 a cinque giovani omosessuali, in tre ospedali diversi di Los Angeles, California, è stata diagnosticata una particolare forma di polmonite. Due sono deceduti; a tutti viene confermata la presenza di una precedente infezione da citomegalovirus e un’infezione da Candida. La malattia non ha ancora un nome e non se ne conosce la causa. L’unico dato certo è che distrugge il sistema immunitario": è quanto si leggeva nel primo bollettino medico emesso dai CDC.

Da allora è passato un quarto di secolo, e l’AIDS ha cambiato il mondo. In accordo con il rapporto UNAIDS/OMS 2006 sull’epidemia di AIDS, si stima che siano circa 40 milioni le persone che oggi convivono con un'infezione da HIV. Nel 2006 ci sono stati 4,3 milioni di nuovi casi, di cui 2,8 milioni (il 65 per cento) nell’Africa sub-sahariana. Inoltre, si è registrata un’impennata dell’incidenza nell’Europa dell’Est e nell’Asia Centrale, dove i tassi sono cresciuti di più del 50 per cento dal 2004. Nel 2006 i decessi per cause legate all’AIDS sono stati 2,9 milioni. I nuovi dati sembrano indicare che i tassi di incidenza siano stabili o nuovamente in crescita in quei Paesi dove i programmi di prevenzione dell’AIDS non sono stati portati avanti o adattati ai cambiamenti dell’andamento dell’epidemia.

"Sul versante epidemiologico-clinico", aggiunge Roberto Manfredi del Dipartimento di Medicina Clinica Specialistica e Sperimentale dell'Università di Bologna, "nei Paesi occidentali gli ultimi anni sono stati caratterizzati da un progressivo incremento dell'età media dei pazienti HIV-positivi, per il progressivo allungamento della prospettiva di vita dei pazienti con infezione nota, e per l'incremento della scoperta di nuovi casi tra pazienti over-50 e over-60. La mortalità per patologie infettive opportunistiche sta declinando e si mantiene molto bassa (grazie ai presidi antimicrobici di cui oggi disponiamo per la terapia e la profilassi delle infezioni), mentre si assiste ad un lento, ma progressivo incremento delle neoplasie, e dei casi di demenza correlata all'AIDS".I programmi di prevenzione stanno funzionando?

In America e in Europa i programmi di prevenzione dell’AIDS non sono stati portati avanti ovunque con la stessa forza, con ovvie conseguenze sul numero di nuovi casi. Analogamente, tra i Paesi a reddito basso e medio-basso sono pochi quelli che sono riusciti a ridurre l’incidenza. E anche in alcuni dei Paesi che in passato avevano avuto un successo immediato nella riduzione dei nuovi casi, come l’Uganda, si assiste ad una nuova crescita. In altre parole, in molte aree del mondo l’epidemia sta andando più velocemente degli interventi di prevenzione e contenimento. Dai dati emerge chiaramente che, laddove i programmi di prevenzione sono focalizzati sul problema e rivolti alle persone più a rischio, l’epidemia è in calo. Negli ultimi dieci anni in molti dei Paesi più colpiti dall’epidemia si è assistito a un cambiamento dei comportamenti sessuali fra i giovani, ad esempio l'aumento dell’uso del preservativo, il posticipo dell’inizio dell’attività sessuale e la riduzione del numero dei partner. La diminuzione della prevalenza dell’infezione da HIV nei giovani tra il 2000 e il 2005 è significativa in Botswana, Burundi, Costa d’Avorio, Kenya, Malawi, Rwanda, Tanzania e Zimbabwe.

Nell'aggiornamento del rapporto 2006 sull’epidemia globale di AIDS viene tuttavia rimarcato come sia debole la sorveglianza dell’infezione da HIV in gran parte del mondo, tra cui l’America Latina, i Caraibi, il Medio Oriente e il Nord Africa. Questo implica spesso che le fasce più a rischio non siano adeguatamente raggiunte dai programmi di prevenzione e dall’offerta di trattamento, perché non si conosce abbastanza della loro realtà. Inoltre, i livelli di conoscenza sull’infezione da HIV e il sesso sicuro rimangono scarsi in molti Paesi, così come la percezione del rischio personale. Persino dove l’epidemia ha un grosso impatto, come in Swaziland o in Sudafrica, gran parte della popolazione non pensa di essere a rischio di infezione.

La situazione è peraltro complicata dall'alone di pregiudizio che grava su questa malattia e fa pensare che chi ne è affetto è “colpevole” di avere assunto comportamenti a rischio: se così non fosse, molti malati non vivrebbero nel silenzio il loro dramma per paura di discriminazioni in campo sociale, lavorativo, familiare e sentimentale.

Da dove arriverà la cura?

Negli ultimi anni grazie alle terapie antiretrovirali sono stati registrati decisivi passi in avanti nella gestione e nel trattamento dell'infezione da HIV tanto che la malattia si sta “cronicizzando” nei Paesi occidentali, nei quali i malati hanno accesso ai farmaci. Ma non mancano strategie di ipotesi terapeutiche alternative, che guardano al futuro. La World Community Grid, un'organizzazione che effettua ricerche computazionali anche grazie alla collaborazione volontaria di centinaia di migliaia di persone che da casa mettono a disposizione i loro computer, sostiene per esempio che grazie ad un software innovativo gli scienziati entro pochi anni riusciranno a sintetizzare farmaci in grado di ‘bloccare’ i virus più pericolosi per l’uomo, primo tra tutti l’HIV.

Arthur J. Olson dello Scripps Research Institute ed il suo team stanno portando avanti ricerche computazionali per progettare nuovi farmaci anti-HIV partendo dalla struttura molecolare, dato che le proprietà delle molecole derivano in larga misura dalla loro struttura tridimensionale. Il target del team di Olson è l’HIV proteasi, un enzima essenziale nel processo di crescita del virus, che se bloccato impedirebbe al virus HIV di riprodursi. Olson sta utilizzando metodi computazionali per identificare nuove sostanze che abbiano la forma adatta a bloccare l’HIV proteasi. Questo approccio, noto come ‘Structure-based Drug Design’, ha già portato a considerevoli passi avanti in campo farmaceutico. I ricercatori però devono affrontare notevoli difficoltà tecniche, prima fra tutte l’impossibilità di determinare la struttura tridimensionale di una molecola-bersaglio e di un farmaco contemporaneamente. Se gli scienziati potessero studiare il meccanismo con cui le varie molecole entrano in contatto e aderiscono l’una alle altre, il design di farmaci più efficaci di quelli attualmente disponibili sarebbe enormemente facilitato.

Grandi speranze vengono riposte anche nella messa a punto di un vaccino efficace contro l'infezione da HIV. Recentemente il virologo Robert Gallo, scopritore del retrovirus HIV, ha raffreddato gli entusiasmi dei mass-media e previsto che un vaccino sarà in commercio non prima del 2015, ma si moltiplicano gli sforzi della comunità scientifica per accorciare i tempi. La messa a punto di un vaccino efficace contro l'HIV/AIDS ha unito in un unico consorzio, denominato AVIP (AIDS Vaccine Integrated Project), sotto la guida italiana dell'Istituto Superiore di Sanità, 19 gruppi di ricerca europei e africani, accomunati da una lunga esperienza nel campo della ricerca sui vaccini. L'iniziativa, finanziata dalla Commissione Europea e coordinata da Barbara Ensoli, Direttore del Centro Nazionale AIDS dell'ISS, coinvolge le università, gli istituti di ricerca e le industrie di sei Paesi Europei (Italia, Svezia, Francia, Germania, Finlandia, Gran Bretagna), del Sud Africa e dello Swaziland. Per il progetto, della durata di 5 anni ed avviato nel 2004, è stato erogato un contributo di 10 milioni di Euro da parte della Commissione Europea, con un investimento totale superiore ai 20 milioni di Euro.

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